Emanuele, “supervissuto” in attesa di un cuore nuovo
Ha trascorso 584 giorni in Ospedale ed è in attesa di un trapianto cardiaco: il suo racconto, tra genio e sregolatezza: “conosco i miei limiti e so quando mi devo fermare, vado tutte le settimane in Reparto a salutare i medici e dedico tutte le mie feste di compleanno all’associazione”
Emanuele ha 37 anni e vive a Bologna, di mestiere fa l’investigatore privato. E’ titolare di agenzia dall’età di 24 anni e da quando è nato ha trascorso 584 giorni in Ospedale. In associazione tutti lo conoscono e in Reparto anche, perché, come dice lui “sono uno dei pochi sopravvissuti del quinto piano”.
La diagnosi: ventricolo unico
“Quando sono nato io nel Reparto di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica del Sant’Orsola c’erano solo sei posti letto: Angelo Lillo, lo storico infermiere, avrà avuto 20 anni e il dott. Luca Ragni era uno specializzando. Mi ricordo bene Maria Cristina, la caposala, lì dentro feci l’ultimo intervento a cuore aperto e la sera prima mi concessero di mangiare i tortelloni ripieni di ricotta di mia nonna, li prepararono nel cucinino. Avevo nove anni, dopo i tortelloni mangiai ben tre fette di salame. E oggi sono ancora qua”.
Emanuele ha avuto sei interventi a cuore aperto e una Fontan, che all’epoca si faceva dalla scapola, quattordici cateterismi, quattro pacemaker. La sua è una diagnosi di ventricolo unico, con trasposizione dei grandi vasi.
Per questo motivo è in attesa di trapianto cardiaco.
“Sul mio i phone c’è scritto quello che ho, poi ci sono i numeri del dott. Ragni, il mio cardiologo, della mia compagna e di mia mamma. Della necessità del trapianto me lo ha comunicato il dott. Donti, a marzo 2021. In quell’anno ho avuto anche un ictus, era il 17 dicembre, dal quale mi sono ripreso completamente senza strascichi, si può quasi definire un miracolo”.
L’incontro con Sara
“Con il dott. Donti quel giorno c’era anche Sara Ruggeri, la psicologa. E’ molto importante il supporto psicologico e io apprezzo molto che Piccoli Grandi Cuori lo metta a disposizione per noi pazienti: ne ho usufruito in passato e ne usufruisco tutt’ora. Sara mi ha detto che sarà con me per supportarmi anche nel momento del trapianto, e io di questo sono molto contento.
Sono uno dei primi tesserati dell’associazione, è nata che io avevo dieci anni ed ero già stato diverse volte in Reparto. Ho festeggiato tutti i miei compleanni, il battesimo di mia figlia, il mio matrimonio, scegliendo di devolvere in beneficenza per Piccoli Grandi Cuori. Ho apprezzato tantissimo il lavoro delle Pareti: quando trascorri tanto tempo in Ospedale ti accorgi di quanto sia importante avere intorno spazi belli e colorati.
L’associazione, il Reparto, sono la mia grande famiglia: tutte le settimane vado in Ospedale a salutare i medici, è una cosa che racconto sempre alla mia compagna”.
Gaia l’ho conosciuta l’11 settembre del 2021, in Piazza Verdi a Bologna mentre ci facevamo dei cicchetti. Le ho fatto vedere la finestrella di Via Piella, a Bologna, che è un po’ una piccola Venezia.
Lei mi è stata molto vicina durante l’ictus. Quella notte ero stato ad una cena del Rotary, ricordo che la chiamai e lei si arrabbiò tantissimo perché pensava fossi ubriaco. Parlavo male, ero rallentato, erano già i primi segnali dell’ictus. Sono andato a letto, poi mi sono svegliato alle 3.40 di notte, non mi sentivo bene: cercando di prendere il telefono sono caduto, ho sbattuto la testa svariate volte.
Non so come sono riuscito a recuperare il telefono e ho mandato un messaggio audio al mio migliore amico Riccardo, che è un medico del 118: l’ictus era già in atto, non riuscivo a parlare bene. Lui ha capito subito: è arrivato ancor prima del 118 insieme a mia mamma.
La mattina successiva Gaia aspettava un mio messaggio che non è mai arrivato. Quando ha saputo cosa mi era accaduto è partita da Ancona, dove viveva: ad aprile dell’anno dopo abbiamo preso casa insieme. Ha lasciato la sua città, il suo lavoro, le sue amiche, la sua famiglia, per venire a vivere con me a Bologna”.
Sopravvissuto? No, supervissuto
Certamente Emanuele, un po’ come Vasco Rossi, è un supervissuto e in un certo senso è l’emblema della ribellione, della vita che va vissuta intensamente, toccandone i punti più alti ma anche i più sommessi.
“Quando avevo vent’anni, in pieno boom economico, mio padre mi regalò una Bmw serie 3 Cabrio: me la diede quando uscii dall’Ospedale, dopo uno degli ennesimi ricoveri, questa volta per un’infezione data da stafilococco aureo. Eravamo ancora al padiglione 25. Ricordo che la parcheggiavo nel posto invalidi e la gente mi insultava. Andavo al mare a Riccione e mi riempivano di insulti, secondo loro usavo il pass della nonna. All’epoca non vivevo bene la mia situazione, mi agitavo molto, mi venivano tachicardia, fiatone, e andavo via. Per l’agitazione sono svenuto tante volte, nella mia vita.
Il pass disabili, per il parcheggio, l’ ho ottenuto dopo diverse battaglie. Mi ha aiutato tantissimo mio padre, che oggi non c’è più. Lui era quello che non “mollava”, che lottava, mamma quella che mi accudiva. Lei c’è sempre stata, nelle emergenze e in ogni momento della mia vita: è sempre stata molto premurosa, passava giorni e notti in ospedale e a casa al mio fianco, rinunciando al suo tempo e al suo lavoro. Ed è stato molto importante.
Ma torniamo al pass. La cosa assurda è che sono riuscito ad ottenerlo quando ho avuto il problema al ginocchio, e non principalmente per via del cuore. Al momento vado in revisione ogni tre anni, poi dal terzo rinnovo non ci sarà più la revisione e quindi non dovrò più andare in commissione: potrò rinnovarlo semplicemente con il medico di base”.
Genio e sregolatezza
“Quando vivi una vita come la mia hai due scelte: o ci dai a mucchio, o ti incazzi. Io ho scelto di reagire. Finisco per terra e mi rialzo.
Una volta ho partecipato ad un incontro con la Federazione degli investigatori dell’Emilia-Romagna del quale sono Presidente Regionale a Parma: c’era anche il presidente della Repubblica Mattarella, quando l’ho visto entrare, preso dall’ansia, sono svenuto.
Non ho mai avuto paura, sono stato in mongolfiera sul Monte Bianco a quattromila metri, ho lavorato in discoteca, ho viaggiato tantissimo comprendo più del 60% del mondo, andando dal Polo Nord al Sudafrica, nel Nord e Sud America e in Oriente, una volta in Florida a Orlando ho fatto cinque parchi divertimenti in soli sette giorni. Ricordo che mandai il video al dott. Ragni e lo raccontai al Prof. Gargiulo, credo di averli fatti arrabbiare tantissime volte. Come quella volta del reality. Era il 2015 ed ero stato selezionato tra cinquemila persone. Per partecipare mi chiesero un foglio dove attestavo di essere in buona salute: scrissi che non ero sano e loro mi dissero che non potevo partecipare. Andai su tutte le furie: riusci a ottenere, tramite altre vie, un foglio dove si declinava l’organizzazione del reality da ogni responsabilità. Il giorno dopo sono partito per Malta, dove sono rimasto per un mese intero.
Ho fatto arrabbiare molto anche il prof. Gargiulo per i tatuaggi: ne ho sette, mi sono tatuato il primo Ecg praticamente piatto perchè prima di ogni operazione, poi un cuore con le spine e ognuna rappresenta un’operazione, lo skyline di New York e altri che non sto ad elencare”.
Sveva Sofia: lei ha risanato il mio cuore
“Sono in lista trapianti: aspetto da due anni e mezzo un cuore nuovo, le cose in mezzo a tutto questo tempo sono cambiate. Ho divorziato, ho incontrato Gaia, abbiamo avuto una figlia, Sveva Sofia, che ha poco meno di un anno è nata ad aprile 2023. Sono diventato molto più responsabile. Mi sono già “giocato” la vita in altri modi”. Non penso mai a quando mi chiameranno per il trapianto: quando succederà allora ci penserò. Ora voglio godermi la mia famiglia, mia figlia: lei ha risanato il mio cuore.
La mia prossima follia?
Voglio lanciarmi con il paracadute.